I LAVORATORI “MATURI” RALLENTANO L’INGRESSO DEI GIOVANI?

La fine dell’anno ci porta sempre a fare dei bilanci e a proiettarci verso il futuro. Che cosa può offrire il mercato del lavoro italiano nel prossimo anno?

Notizia di qualche giorno fa, l’Italia è uno dei paesi più vecchi al mondo: in media ora viviamo 34 anni in più dei nostri bisnonni. Questo ha certamente enormi risvolti positivi, c’è però da chiedersi quali saranno gli effetti nel mercato del lavoro italiano: l’aumento dei lavoratori in età matura potrebbe rallentare l’ingresso dei più giovani. 

Riprendendo alcuni dati presentati in un articolo di lavoce.info qualche giorno fa, si evince che nella situazione attuale – ossia immaginando che i tassi di occupazione per sesso e classe di età restino costanti – nel 2021, per il solo effetto delle “onde demografiche”, i lavoratori saranno 499 mila di meno rispetto al 2016. Se invece il tasso di occupazione aumentasse dell’1% ogni anno, nel 2021 gli occupati sarebbero un milione e 779 mila in più. 

La probabilità che si realizzi quest’ultimo scenario (che prevede 350 mila nuovi posti di lavoro ogni anno fra il 2016 e il 2021) è però molto diversa per le tre classi di età: quasi certa per i lavoratori maturi, perché legata in massima parte alle regole pensionistiche già in vigore, mentre per i giovani e per le persone in età centrale, il tasso di occupazione è legato all’effettiva capacità del sistema paese di creare nuovo reddito e nuovo lavoro. 

La sfida è molto difficile. Nel quinquennio 2016-21, qualora fossero davvero creati 350 mila nuovi posti di lavoro all’anno (difficilmente ottenibili se il Pil non cresce almeno del 2 per cento l’anno), i tassi di occupazione dei giovani e degli uomini in età centrale si avvicinerebbero ai livelli precedenti la crisi, mentre i tassi di occupazione delle donne in età centrale potrebbero avvicinarsi a quelli dei più avanzati paesi europei.

Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un’utopia. Io preferisco pensare che, perché ciò avvenga, anche noi dobbiamo fare la nostra parte. Diventare protagonisti del cambiamento che auspichiamo. E per fare questo, dobbiamo cominciare subito, da noi. Dobbiamo chiederci: che cosa so fare, quali sono le competenze che posso mettere in atto, quali sono i miei talenti, che cosa portano all’economia, cosa posso ulteriormente imparare per non restare indietro? 

E non parlo solo ai giovani, anzi, parlo soprattutto ai cinquantenni che – loro malgrado – hanno ancora molti anni di lavoro davanti a loro e a volte non posseggono competenze sufficientemente aggiornate per essere ritenuti competitivi. L’esperienza è importante, ma non basta. Dobbiamo aggiornarci, arricchirci di nuove nozioni e capacità, esplorare settori in sviluppo, ma soprattutto dobbiamo lavorare sulle nostre soft skills, quelle che realmente ci rendono insostituibili. Se ne sente molto parlare: risolvere problemi, lavorare in gruppo, gestire i conflitti, imparare ad imparare, leadership, flessibilità, creatività, ecc. Quali di queste possediamo? Quali dobbiamo ancora allenare?

Il 2018 può rappresentare l’anno di volta per chi ha voglia di cambiare lavoro, per chi vuole crescere professionalmente, per chi è insoddisfatto di ciò che fa e vuole esplorare altri ambienti lavorativi. Tutto parte da noi. Fare un bilancio di competenze, stabilire un nuovo obiettivo professionale, identificare target e settore di riferimento, preparare i propri strumenti di autopromozione e agire in una ricerca attiva. Diventiamo protagonisti del nostro futuro lavorativo!